Among all the animals on the Earth, Amphibians represent the category whose risk of extinction is so high that their species and kinds
could disappear before man has known them.
Amphibian’s possible extinction in the near future will not allows doubts on their role as elements of the evolutionary
process among aquatic and terrestrial animals : if the monotonous croaking of the last frogs
in summer swamps is not enough to make us question our certainties, can the mere memory of it do that ?
Yet some clues, available in existing Amphibians, could provoke some reasonable doubt or at least make us ask
ourselves the question : « do we have the ultimate answer ? »
Negli ultimi decenni stiamo assistendo al rapido declino delle popolazioni di molte specie di anfibi, principalmente
Anuri ( Rane, Rospi, Raganelle, ecc. ). La cosa è preoccupante, perchè non si ricorda, a memoria d’uomo, nessun’altra morìa così
generalizzata ed estesa : interi generi scompaiono con estrema rapidità, tanto che spesso una specie viene dichiarata estinta subito
dopo essere stata scoperta.
Desta sconcerto il fatto che davanti ad un fenomeno così evidente ( chi non ricorda le miriadi di esserini
saltellanti che fino all’altro ieri si affrettavano ad entrare in acqua non appena si avvicinava un pericolo ? ), oltre che di così rilevanti
proporzioni, nessuno, o quasi, lanci un qualsiasi grido di allarme.
Eppure siamo abituati, oramai, a proclami ambientali di vario genere : dalla denuncia delle attività di bracconaggio
alle iniziative in favore dei siti di nidificazione, dall’istituzione di depositi di cibo per gli animali selvatici alle proteste per la distruzione
di questo o di quell’altro ambiente naturale... E niente, o quasi niente, a proposito della silenziosa scomparsa degli anfibi.
L’opinione pubblica sembra assente e del tutto indifferente davanti ad un fenomeno che non dovrebbe poter
passare inosservato ; certo, una lince sarà più elegante di un rospo, un airone cenerino sarà meno goffo di una salamandra, il volteggiare
aggraziato di un falco sarà forse più nobile del monotono gracidare di una rana in un pantano...
Al di là delle " mode " del periodo, il fenomeno della progressiva riduzione degli anfibi prosegue
rapidamente e senza soste in tutto il mondo, e così rane e rospi mai scoperti scompaiono nell’ombra, e con essi scompare, per sempre, tutto
un patrimonio di sostanze chimiche, ormonali, biologiche che non saranno mai più prodotte nè conosciute. Senza contare il fatto che
ecologicamente gli Anfibi sono, nel mondo degli eterotermi, analoghi a ciò che i Roditori sono nel mondo degli animali a sangue caldo :
fondamentali riserve di risorse trofiche, alla base di catene alimentari che, dal fondo delle paludi melmose, porteranno all’airone, al falco, fino
ad arrivare - perchè no ? - alla lince.
Fra i tentativi avanzati per spiegare questa moria generalizzata sono state considerate le
ipotesi " classiche " : piogge acide ( un tempo : in seguito, con la fine del fenomeno ovviamente tale causa
è stata accantonata ), inquinamento, modificazione climatiche, riduzione degli habitat.
A queste ipotesi si è aggiunta in seguito quella, sicuramente appropriata per gli anfibi, esseri dalla pelle quanto
mai delicata, dell’aumento delle radiazioni UV che penetrano attraverso l’atmosfera come conseguenza dell’assottigliamento dello strato di ozono.
Eppure, nessuna di queste ipotesi sembra giocare un ruolo determinante nella riduzione delle rane e dei rospi.
Sembra invece che, molto banalmente, la causa della repentina scomparsa sia da attribuire ad un parassita, un fungo che avrebbe
acquisito letale perniciosità una volta al di fuori del suo habitat originario. Si tratta del Batrachochytrium dendrobatidis, che sarebbe
stato " esportato " dagli originari territori dell’Africa al seguito delle rane utilizzate nei test di gravidanza umani e che,
una volta al di fuori del proprio ambiente, avrebbe manifestato una virulenza letale per i poveri anfibi non abituati a fare i conti con esso.
Per quanto suffragata da dati raccolti in varie parti del mondo e probabilmente incontrovertibili, sotto un punto
di vista ecologico la motivazione appare senza dubbio banale : da che mondo è mondo, ogni essere vivente della terra è soggetto
a tutta una serie di organismi che in qualche modo si configurano come suoi predatori, antagonisti, patogeni, ecc... senza che per questo motivo
si abbiano repentine scomparse di specie, di Generi, di Famiglie o addirittura di un’intera Classe di esseri viventi.
Va detto, inoltre, che i primi casi di contagio accertato risalgono ad un periodo in cui lo spaventoso declino
aveva già avuto inizio ; va detto che la scomparsa degli Anuri si verifica a livello globale sull’intera superficie del pianeta,
comprese le zone in cui l’incidenza delle attività umane è ridotta al minimo ( Amazzonia, foreste equatoriali, ecc. ) ;
va detto che le limitate capacità di dispersione del fungo, veicolato o meno dall’azione umana, non dovrebbero consentirgli di produrre effetti
contemporaneamente sull’intero pianeta, ma in singole zone di diffusione, per poi interessare superfici sempre più estese.
Per quanto gli interrogativi che suscita siano evidenti, l’ipotesi che sia il fungo in questione a determinare,
a livello globale, la scomparsa degli anfibi, essa è la più accreditata ; d’altra parte, è stato accertato che detto fungo causa patologie
mortali nelle rane dei più svariati generi.
Dal punto di vista del rapporto causa/effetti questa spiegazione appare, come già scritto, banale, e lo appare tanto
più se la si paragona alle spiegazioni, di ben altro livello, che vengono avanzate per spiegare la scomparsa dei dinosauri : per quest’ultima
si prospetta da sempre uno scenario apocalittico. Un grande animale non può estinguersi per un motivo banale, un grande animale
deve estinguersi per un motivo grande anch’esso. E’ ai piccoli animali, come le rane, che può essere concessa l’estinzione a causa di un piccolo
parassita.
Per quale motivo potrebbero quindi essere scomparsi i dinosauri ? Se fossero vissuti ai tempi delle piogge
acide, ci si potrebbe appellare a quelli, per giustificarne la scomparsa ; se fossero vissuti in un’epoca di cambiamenti climatici,
potrebbero essere stati questi, ad averne determinato l’estinzione ; uragani, terremoti, tsunami ed eruzioni vulcaniche non sembrano
adeguati per spiegare l’estinzione di un’intera forma di vita dalla faccia dalla terra ( in ambito più ristretto, forse sì... ).
Ma, se piogge acide non ce ne sono state ( o, se ci sono state, non hanno tuttavia lasciato conseguenze degne di nota in tal senso ),
i cambiamenti climatici hanno sortito tutt’altro effetto, piuttosto che far estinguere una categoria di specie dominanti dall’intera superficie
del pianeta. E allora ? Cosa c’è di meglio di un cataclisma cosmologico, di una forza distruttrice esterna, aliena, globale e spaventosa,
per spiegare la scomparsa di forme di vita così grandi ? L’ipotesi che a farli estinguere possano essere state altre forme di vita,
magari micromammiferi dal metabolismo accelerato, predatori di uova attivi, a differenza di molti Dinosauri, anche di notte, non viene giustamente neanche presa in
considerazione : sarebbe come ammettere che Davide abbia battuto un immenso Golia in un’epoca in cui la forte pressione selettiva,
classicamente descritta a vantaggio dei dinosauri, imponeva che Davide non potesse battere Golia.
D’altra parte, anche l’abbinamento fra la scomparsa dei Dinosauri e quella degli Anfibi non ha motivo
di esistere : i dinosauri hanno contrassegnato un’epoca, mentre gli Anfibi, da bravi " termini di passaggio "
colonizzatori delle terre emerse, avrebbero dovuto essere estinti già da un pezzo, dal momento stesso in cui la vita uscì dall’acqua
per dare origine ai Rettili prima ed agli Uccelli ed ai Mammiferi poi....

Rana photo © Sandro D’Alessandro
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Sì, perchè agli Anfibi andrebbe il merito di aver realizzato per primi quella respirazione polmonare che avrebbe permesso
alla vita animale di uscire dall’acqua.
Malgrado ciò, non si riscontra, almeno negli Anfibi attuali, una spiccata tendenza all’evoluzione verso forme differenti.
La refrattarietà all’acquisizione di adattamenti trasmissibili alla discendenza è particolarmente evidente in una
specie che potrebbe invece, a prima vista, sembrare proprio quella in possesso, più delle altre, di tutte le carte in regola per indirizzare i propri
discendenti verso " scelte ", in termini di adattamenti evolutivi, che nessun uguale avrebbero in qualsiasi altra specie vivente.
La specie in questione è l’axolotl, Anfibio Urodelo che non completa, di solito, il proprio sviluppo individuale,
permanendo ad uno stadio simile a quello giovanile. Tale particolare caratteristica, nota con il nome di " neotenia ", si traduce
per l’axolotl nell’assenza di metamorfosi, per cui l’individuo adulto appare in possesso delle stesse caratteristiche degli individui giovani.
A meno che, nel caso dell’axolotl, non intervengano stress ambientali, come ad es. eccessi termici e/o prolungate siccità, entrambi
casi in cui l’animale in questione sviluppa i polmoni, cessando la respirazione branchiale.
Gli axolotl provvisti di polmoni daranno origine a generazioni di axolotl caratterizzati, da adulti, dalla fase
neotenica : le " scelte " fatte nel corso di una o più generazioni non si ripercuotono infatti sulle caratteristiche
delle generazioni successive, che conservano tutte le potenzialità tipiche della specie senza nessuna pregiudiziale per la vita in ambiente
acquatico o in ambiente emerso. Così, il protrarsi di molte generazioni " acquatiche " successive, come quelle che
presumibilmente si svilupperebbero in condizioni di disponibilità di acqua, non influirà sulle caratteristiche delle generazioni future ;
allo stesso modo, molte generazioni " terrestri " successive, come quelle che sarebbero invece destinate a svilupparsi in
condizioni di penuria d’acqua o di eccesso di calore, non determineranno variazioni degne di nota nelle future generazioni degli axolotl.
Sia in un caso che nell’altro, infatti, i nuovi nati saranno provvisti di branchie, ma saranno sempre in grado, una volta adulti, di optare
per la respirazione polmonare.
Quello che apparirebbe il non plus ultra per il motore dell’evoluzione si rivela paradossalmente, invece, un esempio
di come i presupposti apparentemente più favorevoli per lo sviluppo di specie con nuovi caratteri di tipo qualitativo, in grado
di evidenziare funzionalità del tutto nuove, possano ridursi ad un niente di fatto, in cui le caratteristiche delle specie rimangono immutate rispetto
al loro standard nel corso delle generazioni. E’ appena il caso di notare che si tratta di un caso ben lontano da quello della
Biston betularia, la ben più nota farfalla caratterizzata da due varietà di diverso colore, una delle quali prevalse nel momento in
cui lo smog favorì la variante melanica ; nel caso dell’axolotl siamo di fronte ad un fenomeno incomparabilmente più significativo :
si tratta dell’essenza stessa del cammino evolutivo, dell’uscita della vita dall’acqua, della conquista delle terre emerse,
che tante conseguenze ha portato alla vita sull’intero pianeta.
Questa particolarissima capacità dell’axolotl non era sfuggita neppure agli Atzechi, i quali avevano venerato il
dio Quetzalcoatl, rappresentato come un " serpente piumato ", le cui piume erano probabilmente riconducibili alle
caratteristiche branchie dell’axolotl, che sembrano proprio delle piume che fuoriescano dall’animale ai lati del capo. Secondo la mitologia
atzeca e tolteca, il serpente piumato Quetzalcoatl sarebbe infatti diventato un " animale " di rango ben più elevato,
trasformandosi addirittura in un uomo.
Nel caso dell’axolotl siamo di fronte ad un essere vivente che può, in qualsiasi momento della sua vita,
optare per la sopravvivenza in ambiente acquatico o per la " conquista " delle terre emerse. E tale essere lo fa come
se fosse la cosa più semplice di questo mondo, lo fa in silenzio, senza lasciare traccia alcuna nella discendenza, senza aprire la strada
ad altri esseri più evoluti o comunque diversi, più adattati all’ambiente aereo. Senza indirizzare i propri discendenti verso questo
o quell’altro ambiente, senza progredire, senza mai specializzarsi, libero di tornare indietro sui passi delle generazioni precedenti,
quasi che le conquiste dell’evoluzione non lo riguardassero, quasi che si accontentasse di restare in disparte, quasi che gli adattamenti
e le specializzazioni non facessero più per lui.
Altre specie a neotenia " obbligata ", ossia non in grado di perdere le caratteristiche giovanili
neanche in condizioni di stress ambientale, proseguono invece la loro esistenza acquatica per tutta la vita, quali che siano le condizioni
dell’ambiente in cui vivono.
E’ il caso dei rappresentanti della famiglia dei Sirenidi, Anfibi che non perdono mai le branchie nel corso
della loro esistenza. Le specie conosciute, Sirena lacertina, Sirena intermedia e Pseudobranchus striatus,
sono infatti destinate a vivere sempre in ambiente acquatico.
E’ paradossale, in queste specie esclusivamente acquatiche, che mai saranno in grado di respirare per mezzo
dei polmoni, il fatto che le loro zampe, invece che palmate, abbiano delle dita separate e non unite da membrana.
Se, considerando la loro esistenza esclusivamente acquatica, è scontato il fatto che essi debbano respirare
per via branchiale, non altrettanto scontato è il fatto che essi debbano possedere zampe palmate : piuttosto che di una
carenza incompatibile con la vita degli stessi animali, tale mancanza potrebbe indicare piuttosto un adattamento incompleto.
Già, un adattamento incompleto, ma in quale direzione ?
Da un ambiente acquatico verso un ambiente emerso, come la logica suggerirebbe, oppure al contrario
da un ambiente emerso verso un ambiente acquatico, come sembrerebbe invece suggerire questa strana mescolanza di caratteri ?
La presenza nello stesso essere di un apparato respiratorio in grado di poter essere utilizzato esclusivamente in
ambiente sommerso e di un apparato locomotore che parrebbe fatto su misura per un animale dedito alla vita terrestre è infatti molto strana,
se si suppone che la specie abbia un passato acquatico. Tanto più che altri Anfibi sicuramente meno dotati per la vita in ambiente
esclusivamente acquatico, come le Rane, le Raganelle e perfino i terricoli Rospi sono invece in possesso di zampe palmate.
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Con le premesse fatte in merito all’evoluzione degli animali terrestri, che sarebbe avvenuta a partire dal primo
Anfibio che optò per la vita in ambiente aereo, qual è il senso della presenza degli Anfibi nel terzo millennio, una volta esaurito, in termini
evolutivi, il loro compito ?
Tanto più che gli attuali Anfibi appaiono, nelle loro caratteristiche essenziali, incredibilmente simili a quelli
comparsi milioni di anni fa, strani " anelli mancanti " ( * ) che si sarebbero poi evoluti nei Rettili,
ma anche, imprevedibilmente, conservati con poche variazioni e pressochè identici fino ai nostri giorni...
La scomparsa definitiva degli Anfibi porterà via per sempre, insieme a questi animali, anche la risposta a tutta
una serie di interrogativi che riguardano la loro esistenza ( e, forse, la storia stessa della vita sulla terra ), senza che sia più
dato di trovare una risposta.
D’altra parte, chi li ricorderà più, fra venti o trent’anni ?
( * ) -
il termine "anelli mancanti" è usato qui in maniera impropria, in quanto quello degli Anfibi potrebbe essere uno dei pochi casi,
se non proprio l’unico, in cui gli ipotetici "termini di passaggio", anzichè mancare, esistono, e non già come fossili, ma addirittura
come esseri ancora viventi, con tutto il loro carico di evidenze e, forse, di enigmaticità.

Hyla photo © Sandro D’Alessandro
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